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Giordano Bruno
LE OMBRE DELLE IDEE
1 Coinvolgenti l'arte di Cercare, Trovare, Giudicare, Ordinare e Applicare: Esposte per una scrittura interna, e non volgari operazioni con la memoria. A ENRICO TERZO, SERENISSIMO RE DICHIARAZIONE. Ombra profonda siamo; non tormentateci, o inetti. Non voi richiede un'opera così seria, ma i dotti. PARIGI
Presso Egidio Gorbino,
all'insegna della Speranza,
dalla regione del ginnasio Cameracense.
1582 CON PRIVILEGIO DEL RE. FILOTEO GIORDANO BRUNO NOLANO AL LETTORE AMICO E ZELANTE. E' in alto posto di Diana in Chio il volto, che triste sembra a chi nel tempio entra, allegro a chi ne esce. Anche la lettera di Pitagora, eseguita con bicorne linea, a chi mostra il truce aspetto del destro sentiero, offre un'ottima fine. Dell'ombre, che dalle profonde tenebre emersero, alfin diventeran graditi, ora più aspri, e il volto e la lettera. A ENRICO TERZO SERENISSIMO RE DEI FRANCESI E DEI POLACCHI, ECCETERA Filoteo Giordano Bruno Nolano.
A sue spese. Chi ignora, o santissima Maestà, che i doni importanti sono riservati ai
personaggi importanti, quelli più importanti ai più importanti, e quelli
importantissimi ai massimi personaggi? Nessuno perciò dubiti perché
quest'opera, degna di essere annoverata tra le più grandi sia per la nobiltà
del soggetto che tratta, sia per la singolarità dell'invenzione su cui si
fonda, sia per la serietà della dimostrazione con la quale è comunicata, sia
stata dedicata a te, egregia meraviglia dei popoli, ragguardevolissimo per il
valore dell'animo prestante, celeberrimo per l'altezza del sublime ingegno, e
perciò illustrissimo, magnanimo e degnissimo del giusto ossequio di tutti i
dotti. E' proprio di te, poiché sembri eminentemente generoso, potente e
saggio, accogliere quest'opera con animo cortese, proteggerla con grande favore
ed esaminarla con maturità di giudizio. STA BENE.
MERLINO ARTISTA. Un tale ha dipinto galli domestici, che, poiché non è del tutto inesperto, affinché non possano essere sorpresi più gravemente i tratti inetti, da inetto artista, ha ordinato a servitorelli e compagnelli, di cacciar lontano i polli naturali. Non ignorando ciò, dovrai temere, mentre tu, vero gallo, ti avvicini ai dipinti che fan meravigliare gli orecchiuti, che, cacciato da un servo importuno, te ne dolga. MERLINO AL GIUDICE SOBRIO. C'è un fiume nella Frigia detto Gallo che, se ne bevi poco, guarisce i mali fisici. Se assorbirai insobriamente, t'assorbirà al punto che l'animo caccerai e una seconda volta non berrai. Così pure le lettere di saggezza, poco toccate, giovano alla vita civile, e danno grandissimo diletto. Se troppo ne ingurgiti, ti turberanno, e alla pazzia ti condurranno o alla rovinosa gloria. Perciò, essendo stato finora prudente, per non incorrere in così gran danno, con l'approvazione dei maestri Soltanto ti è piaciuto la saggezza assaggiare, solo con le labbra gustare e con le nari annusare. Perciò dichiaro che tu bene non fai, mentre da giudice qui ti affretti per scrollare le orecchie di Mida. MERLINO AL GIUDICE IDONEO. C'è un motivo per cui il cane s'è avvicinato per arare, per cui il Cammello vuol salire alle stelle, per cui, trascinandolo la rana, il sorcio passa a nuoto il fiume, per cui i pigri asini corrono a cacciare, per cui il cuculo tenta di catturare i lupi, c'è un motivo per cui i porci bramano volare: è qualcosa di sconveniente per natura. Non è invece di Organete questo difetto dell'arte, o quando invita a scavare sia a pescare sia a trascorrere l'aria con le penne adatte, o quando insegna a cacciare e uccellare. Se voi vi sentite abili scavatori, e per nulla inadatti a volare, a pescare, cacciare e uccellare, e perciò quindi non ci sono lamenti, sarò d'accordo con voi, se concordate che siete entrati nel labirinto senza filo. FILOTEO GIORDANO BRUNO NOLANO Preliminare dialogo apologetico in difesa delle ombre delle idee per la sua
invenzione della memoria. INTERLOCUTORI : ERMES. FILOTIMO. LOGIFERO. ERMES.- Continua liberamente; infatti sai bene che il sole è lo stesso e
l'arte è la stessa. Lo stesso sole innalza all'onore le gesta dell'uno, conduce
al biasimo le azioni del l'altro. Per la sua presenza si rattristano i
barbagianni notturni, il rospo, il basilisco, il gufo, esseri solitari, notturni
e sacri a Plutone, invece smaniano il gallo, la fenice, il cigno, l'oca,
l'aquila, la lince, l'ariete e il leone. Al suo stesso sorgere quelli che
operano nelle tenebre si raccolgono nelle tane, ma l'uomo e gli animali diurni
escono per la loro opera . Invita questi al lavoro, spinge quelli nell'ozio. Al
sole si volgono il lupino e l'elitropia, ma da esso si ritirano le erbe e i
fiori della notte. Innalza i vapori rarefatti sotto forma di nuvola, invece
rovescia a terra i vapori condensati in acqua. Ad alcuni distribuisce una luce
perenne e continua, ad altri vicissitudinale. L'intelletto che non erra insegna
che esso sta fermo, ma il senso fallace induce a credere che si muove. Questo
sorge per questa parte esposta della terra ruotante, nello stesso tempo tramonta
per quella posta agli antipodi. Il medesimo apparentemente gira intorno ai
circoli che dicono artici attraverso le differenze di quello destro e sinistro,
ma a molti altri sembra percorrere un arco che passa al di sopra e al di sotto.
Questo appare più grande alla terra che occupa il punto più alto del suo giro,
ma appare più piccolo a quella regione che occupa il punto più basso (proprio
perché è più distante da esso). In alcune parti dei semicerchi viene a
mancare lentamente, ma in altre velocemente. Questo risulta più boreale per la
terra che si protende verso l'Austro, ma più australe per la terra che volge
verso Borea. Per coloro che hanno l'orizzonte retto riceve una latitudine in
misure uguali da una parte e dall'altra; ma disuguali per coloro che lo hanno
obliquo. Il medesimo distribuisce le tenebre, perennemente commisurate alla
luce, agli abitanti della regione posta tra i due paralleli medi di questa mole;
agli altri invece in un determinato tempo. Nel caso che la divina terra, che ci
alimenta con la sua crosta, gli mostri la nostra fronte, otterrà per noi i suoi
raggi obliqui; retti invece per coloro di cui gli avrà sottoposto la sommità
della testa. Alcuni pianeti (che molti pensano siano animati e Dèi secondari
sotto l'egida di un solo capo), avvicinàti appunto al sole, ricevono sempre la
luce dall'auge o dall'apogeo (così lo chiamano); invece, gli altri; perché
l'hanno di fronte, la ricevono piuttosto a medie (come le chiamano) latitudini e
intervalli. Quando la luna (che moltissimi tra i filosofi pensano sia un'altra
terra) nel suo emisfero rivolto al sole riceve la libera luce di tutto quel
medesimo, allora la terra, triste per l'interposizione di quel globo, mostra
all'emisfero opposto della luna la faccia ombrata in direzione del sole. Perciò
il sole, che resta e permane sempre uno e identico si presenta diverso di volta
in volta a alcuni e a altri, dato che sono disposti chi in un modo chi in un
altro. Non diversamente potremmo credere che questa arte solare sarà di volta
in volta diversa per gli uni e per gli altri. FILOTIMO. - Per quale motivo, o Ermes, parli fra te? Qual è mai il libello
che hai tra le mani? ERMES. - E' il libro "Le ombre delle idee", raccolte per una
scrittura interna; sono incerto se debba essere pubblicato oppure continuare a
rimanere nelle stesse tenebre in cui un tempo è stato nascosto. FILOTIMO. - Perché mai? ERMES. - Perché (come dicono) il suo autore si porta nel segno in cui
volgono insieme i Sagittari armati non di un sol genere. FILOTIMO. - Se in verità tutti dovessero temere e evitare ciò, nessuno mai
avrebbe tentato opere degne e niente di buono e di egregio si sarebbe mai
realizzato. La provvidenza degli Dèi (lo dissero i Sacerdoti egiziani) non
smette di mandare agli uomini alcuni Mercuri in certi tempi stabiliti, benché
sappiano in anticipo che questi non saranno accolti per niente o saranno male
accolti. Né l'intelletto, come anche questo sole sensibile, cessa d'illuminare
continuamente per il motivo che né sempre né tutti ce ne accorgiamo. LOGIFERO. - Io sarei facilmente d'accordo con quegli stessi che pensassero
che le cose di tal genere non devono essere affatto divulgate: sento che
Filotimo ha dubbi a questo proposito; però se avesse ascoltato con le sue
orecchie quelle cose che abbiamo sentito noi, certamente le getterebbe sul fuoco
per bruciarle, anziché farle pubblicare. Infatti queste fin qui hanno recato al
loro maestro una messe non propizia; ora ignoro cosa mai si possa sperare per il
futuro; infatti, tranne pochissimi che già da sé possono capire queste cose,
per niente potranno dare un giudizio obiettivo sul le cose stesse. FILOTIMO. - Senti cosa dice costui? ERMES.- Sento; ma perché io senta di più, discutete tra voi. FILOTIMO.- Quindi discetterò con te, o Logifero, e per prima cosa direi
questo: il tuo discorso non è di nessuna persuasione, tanto che il vigore del
tuo ragionamento non valga anzi a confermare l'opinione contraria. Infatti quei
pochi che avranno compreso questa tua invenzione (e tra questi siamo io e Ermes)
la esalteranno con non piccole lodi; ma coloro che non capiranno minimamente il
discorso, non potranno né lodarla né biasimarla. LOGIFERO. - Tu dici ciò che dovrebbe essere, non ciò che sarà, è stato.
Molti non comprendendo, per il fatto stesso che non comprendono, per giunta
anche con malanimo, dal quale sono spinti, raccolgono calunnie contro l'autore
stesso e la sua arte. Non hai forse sentito con le tue orecchie il dottore Bobo,
che disse che non esiste alcuna arte della memoria, ma che essa viene procurata
solamente con l'abitudine e con la frequente ripetizione delle lezioni, che
avviene rivedendo molte volte le cose già viste e riascoltando molte volte le
cose già sentite con le orecchie? FILOTIMO. - Se questi avesse la coda, sarebbe un cercopiteco. LOGIFERO. - Cosa risponderai al maestro Anthoc, il quale considera maghi o
indemoniati o uomini di qualche altra specie siffatta quelli che presentano
operazioni della memoria oltre alle solite volgari? Tu vedi quanto si è
incanutito nelle lettere! FILOTIMO. - Non dubiterei che costui è nipote di quell'asino che fu salvato
sull'Arca di Noè per la conservazione della specie! LOGIFERO. - E poi il maestro Rocco, archimaestro delle arti e della medicina,
il quale preferisce la mnemonica empirica a quella teorica, stimerebbe queste
cose sciocchezzuole più che precetti fondati su un'arte. FILOTIMO. - Non oltre il pitale! LOGIFERO. - Uno degli antichi dottori disse che quest'arte non può essere
accessibile a tutti, ma solo a coloro che sono forniti di memoria naturale. FILOTIMO. - E' il parere di un ultrasessantenne! LOGIFERO. - Farfacone, dottore in entrambi i diritti e filosofo erudito, è
dell'opinione che quest'arte arrechi più aggravi che sollievi: e infatti,
quando dobbiamo ricordare le cose senz'arte, ormai siamo obbligati a ricorrere
all'arte per ricordare le cose, i luoghi e moltissime immagini, da cui non c'è
dubbio che la memoria naturale sia maggiormente confusa e impacciata. FILOTIMO. - Il pensiero acuto di Crisippo dev'essere cardato con un grande
pettine di ferro. LOGIFERO. - Il dottor Berling disse che dal discorso di costui anche i più
dotti non possono mietere niente, credo perché egli stesso niente miete. FILOTIMO. - Sotto quei ricci neppure una castagna? LOGIFERO. - Il maestro Maines ha detto: anche se piaccia a tutti, a me non
piacerà mai. FILOTIMO. - Né il vino che giammai gusterà. LOGIFERO. - Cosa credi che penserà riguardo a questa cosa chi conosci come
tuo amico? FILOTIMO. - L'inchiostro di seppia aggiunto alla lucerna fa sembrare Etiopi
gli uomini; così pure una mente corrotta da livore giudica turpi anche le cose
indubbiamente belle. LOGIFERO. - Si racconta che anche l'eccelso maestro Scoppet, di gran lunga il
primo tra i medici di questa nostra epoca, disse all'autore di mostrargli la sua
naturale memoria prima dell'arte della memoria; ed è incerto se per sdegno o
per incapacità quegli non ha voluto mostrargliela. FILOTIMO. - Se gli avesse detto: "Mostrami la tua urina prima che io
esamini gli escrementi più solidi", forse il nostro autore lo avrebbe
compiaciuto e trattato in modo più ospitale, urbano e più conveniente alla sua
dignità, al suo ufficio e all'arte? LOGIFERO. - Cosa diremo del maestro Clyster, dottore medico, che non è
lecito che si accosti al discorso? Infatti non differisce affatto da quel
medesimo che, secondo Aknaldo e Tiberide, sostiene che una lingua di upupa
trapiantata su uno smemorato conferisce, a chi la porta, una memoria
tenacissima. FILOTIMO. - Aristotele disse: "Suonando la cetra si diventa
citaredo". Se qualcuno trapianterà su questo infelicissimo un altro
cervello dopo avergli tolto quello stesso che ha, forse medicando diventerà
medico. LOGIFERO. - Anche il dottor Carpoforo, secondo Proculo e Sabino itacese,
disse che la sede della mente e della memoria è distinta in tre parti. Infatti
tra la poppa e la prua c'è in mezzo la nave la quale, giacché aperta, quando
con la memoria cerchiamo di revocare qualcosa, da prua a poppa offre accesso
allo spirito animato. Del resto mai fece progressi uno spirito animato, se non
sereno, lucido, chiaro; d'altra parte, lo spirito, ottuso da un'eccessiva
freddezza, inebetisce e illanguidisce la nostra memoria. Invero, se questa
freddezza sarà unita a secchezza, arrecherà veglie eccessive e insonnia; se
sarà unita a umidità, arrecherà il letargo. Per allontanare questi mali, sono
stati escogitati con arte questi rimedi: l'esercizio che stimola e eccita i
sensi e quasi risveglia gli spiriti assopiti da una turpe insensatezza e
dall'abbandono; l'accoppiamento moderato; la malinconia scacciata e la letizia
ricondotta dal piacere; una purga di tutti i meati del corpo; lo sfregamento
della testa con un pettine d'avorio e un panno ruvido; l'uso di vini piuttosto
leggeri o annacquati, affinché le vene, aprendosi per l'ardore del vino, non
brucino il sangue; l'occlusione dello stomaco con cose che procurano
naturalmente o artificialmente la stitichezza, affinché la fumosità,
evaporando dallo stomaco con l'ebollizione del cibo, non provochi il sonno che
oscura la mente e l'ingegno; l'astinenza dai cibi freddi e umidi, come dai pesci
in generale, dal cervello e dalle midolla, non meno che dai porri scottanti e
fumanti, dai ravanelli, dagli agli, dalle cipolle, che non siano stati consumati
dal fuoco; l'uso di sostanze aromatiche; la pulizia del capo e dei piedi con la
cottura dell'acqua in cui abbiano bollito la melissa, le foglie d'alloro, i
finocchi, le camomille, le canne e simili; l'esercitazione pitagorica che si
tenga nel crepuscolo notturno, proprio perché giova massimamente alla memoria,
alla mente e all'ingegno. Queste sono le cose che possono sollevare la memoria,
come pure quelle che Democrito, Archigene, Alessandro e il peripatetico
Andronico affidarono alla testimonianza degli scritti, non codeste arti futili
che si vantano di formare una memoria solida con non so quali immagini e figure. FILOTIMO. - Ha concluso il discorso altrui con un proprio raglio; il
venerabile dottore ha sostenuto la parte del pappagallo e dell'asino. LOGIFERO. - Il maestro Arnofago, esperto di diritto e di leggi, e molto
lodato, ha detto che ci sono moltissimi dotti che non hanno quella perizia, ma
l'avrebbero se esistesse. FILOTIMO. - La ragione è una bambina che non mette ancora i denti; perciò
non gli tiriamo un cazzotto. LOGIFERO. - Il dottissimo teologo e patriarca Psicoteo, maestro sottilissimo
di lettere, dichiara di avere conosciuto l'arte di Tullio, Tommaso, Alberto,
Alulide e di altri autori sconosciuti e di non avere potuto trarre da loro alcun
frutto. FILOTIMO. - Giudizio di prima tonsura! LOGIFERO. - E infine, per sintetizzare tutto in una sola parola, vari uomini
hanno varie opinioni; diversi dicono cose diverse; quante sono le teste, tanti
sono i pareri. FILOTIMO. - E tante le voci. Perciò i corvi gracchiano, i cuculi fanno
cucù, i lupi ululano, i maiali grugniscono, le pecore belano, i buoi
muggiscono, i cavalli nitriscono, gli asini ragliano. E' turpe, disse
Aristotele, essere sollecito a rispondere a chiunque faccia domande; i buoi
muggiscano ai buoi, i cavalli nitriscano ai cavalli, gli asini raglino agli
asini: a noi tocca nel colloquio fare un qualche esame dell'invenzione di
costui. LOGIFERO. - Benissimo! Perciò Ermes si compiaccia di aprire il libro
affinché esaminiamo i pensieri dell'autore. ERMES. - Lo farò con molto piacere. Ecco, leggo la prefazione dell'opera.
"A nessuno (dice) penso che sfugga che sono state pubblicate da altri molte
arti della memoria, delle quali tutte e ognuna singolarmente, servendosi proprio
degli stessi canoni, si trovano quasi nella stessa difficoltà: per questo noi
abbiamo provveduto a presentare piuttosto i frutti di questa invenzione, con i
quali fosse trattata più seriamente, più facilmente e più agevolmente una
questione tanto illustre, per raggiungere un'arte che si desidera tanto. Le
scuole più antiche, ricercando una quotidiana esercitazione, troppo
inopportunamente distoglievano gli ingegni più fecondi dalla prosecuzione di
esse e dallo studio: infatti gl'ingegni sono meno costanti e (per dirla più
francamente) più intolleranti quanto più sono sottili e pronti; alcuni di loro
si preoccupano più di sfiorare tutte le cose che apprenderne fino in fondo una
sola". FILOTIMO. - Mi piace, appunto, di questo autore che non appartiene alla
schiera di coloro che, raccogliendo insieme di qua e di là i pensieri degli
altri, per ottenere l'immortalità a spese altrui, si mettono nel numero degli
autori che lavorano per i posteri e, come la maggior parte di coloro, si
presentano dottori di quelle discipline di cui non hanno certamente alcuna
conoscenza e comprensione; e per giunta molte volte non possono evitare (dopo
essersi adattata addosso alla meglio la pelle del leone con le invenzioni degli
altri) di rientrare abbastanza spesso nella propria pelle e infine forzare la
voce, quando lanciano qualcosa fuori dal loro fiacco Marte (poiché è facile
aggiungere alle invenzioni altrui), o gettano fuori qualcosa dalla deficienza di
una stupida sensibilità. Quelle cose sono gli arieti delle incapacità
oratorie, le catapulte degli errori, le bombarde delle sciocchezze, e i tuoni, i
lampi, le folgori e le grandi tempeste delle ciucaggini. LOGIFERO. - Non pensi la stessa cosa circa i nostri raccoglitori di poesie e
versificatori, i quali, servendosi delle invenzioni, semiversi e versi altrui,
vogliono passare ai nostri occhi al posto dei loro poeti? FILOTIMO. - Lascia perdere i poeti. Infatti, come sappiamo che i re a seconda
delle occasioni hanno le mani lunghe, così i poeti a tempo e luogo sogliono
avere voci alte e lunghe. LOGIFERO. - Parlavo dei versificatori, non dei poeti! FILOTIMO. - Bene, perciò pochi o nessuno stimerà che la cosa si riferisca a
lui. Ma questo che ci interessa? Basta che nell'intenzione degli autori ci sia
stata la cognizione di quest'arte. LOGIFERO. - Non dei poeti. FILOTIMO. - Ma andiamo avanti: leggi il seguito. HERMES. "Di qui (dice) avendo applicato l'animo a ossequiare alcuni miei
amici, dopo altre arti della memoria di genere diverso, le quali abbiamo
indirizzato privatamente a diversi destinatari e, secondo i vari indirizzi,
abbiamo comunicato ad altri per la loro dignità e intelligenza, abbiamo
composto quest'arte che è preferibile a tutte le altre per il valore dei
princìpi che sono contenuti in essa e non è da posporre a nessuna in base ai
risultati. In questa prometto certamente un sistema facile e una scienza per
nulla faticosa al posto della prassi, ma un libro per nulla accessibile a tutti
con i suoi pensieri, contro l'abitudine di coloro che hanno tramandato libri
facili e brevi intorno a questa arte, ma l'arte stessa difficile e prolissa.
Pochi eruditi la comprendano e, poi, con la loro comprensione venga in uso per
tutti; e sia tale che tutti, sia i rozzi sia gli eruditi, possano facilmente
saperla ed esercitarla; e tale che senza una dotta guida possano comprenderla
soltanto quelli ben versati nella metafisica e nelle dottrine dei Platonici.
Questa arte, infatti, offre il vantaggio che, per quanto è contenuta in termini
difficili, che presuppongono capacità speculative, tuttavia potrà essere
spiegata a ognuno (purché non si tratti di un ingegno assolutamente ottuso);
contiene infatti termini molto appropriati e massimamente adatti a significare
le cose. Quest'arte non porta a una semplice arte della memoria, ma avvia e
introduce anche alla scoperta di molte facoltà. Inoltre coloro ai quali sarà
dato di coglierne i valori più interni, ricordino: non la rendano familiare,
stando alla sua regale dignità, a chicchessia senza una selezione e spieghino i
suoi canoni esplicitamente ai singoli, in modo più intenso e più dilazionato a
seconda dei meriti e della facoltà ricettiva di coloro ai quali deve essere
comunicata. Inoltre, sappiano nelle mani di chi è giunta questa arte: il nostro
ingegno non è tale né da essere legato a una determinata corrente di filosofia
altrui né da disprezzare universalmente qualunque indirizzo filosofico. Davvero
non c'è nessuno che non teniamo in gran conto tra coloro che si sono appoggiati
al proprio ingegno per contemplare le cose e che hanno costruito qualcosa con
arte e metodo. Non trascuriamo i misteri dei Pitagorici, non sminuiamo la fede
dei Platonici e non disprezziamo neppure i ragionamenti dei Peripatetici,
finché hanno trovato un fondamento reale. Questo lo diciamo proprio per
attenuare la preoccupazione di coloro che vogliono misurare gl'ingegni altrui
con il proprio ingegno; di tal fatta è quel genere sventurato che, pur avendo
speso la propria fatica troppo a lungo sui migliori filosofi, non spinse il
proprio animo fino al punto di non servirsi, sempre fino alla fine dell'ingegno
altrui; essendo privo del proprio, tuttavia, bisogna compatirlo più di coloro
che, ignorando la propria povertà, osano cose che non devono osare, e sotto un
certo aspetto (se non vi rimanga per incuria) bisogna anche lodarlo. Simili
uomini, in quanto riempiti di spirito aristotelico (perché sia lecito ormai
vedere i libri sonori e progressivi), quando udranno o leggeranno "Le ombre
delle idee", ormai si appiglieranno alla parola dicendo che le idee sono
sogni o fantasmi. Quando abbiamo ammesso che è così, si chiede allora se sia
conveniente che ciò che si conforma alla natura corre sotto le ombre delle
idee. Quando invece attaccheranno il luogo dell'anima raziocinante, "O
Giordano," diranno, "ormai tu affermi che l'anima tesse o fila".
Gonfiando le bocche similmente anche in alcune altre sciocchezze, per una specie
di nemico interno saranno distolti dal partecipare al frutto di questa
disciplina. A costoro vogliamo dire apertamente quanto segue: anche noi, pur
essendo meno dotti, ci siamo applicati nelle stesse cose; allora infatti ci
servivamo (com'era giusto) della fede per conquistare le scienze. Ma ora che
possiamo servirci, con l'aiuto divino, dei mezzi acquisiti e ritrovati per
ulteriori proprie operazioni senza un giusto rimprovero di contraddizione, se è
vantaggioso il limite platonico e l'intenzione è vantaggiosa, si accettano; se
anche le intenzioni peripatetiche si adoprano per una migliore esposizione
dell'oggetto in questa arte, sono fedelmente ammesse. Similmente si giudichi
delle altre. Infatti non riusciamo a trovare un unico artigiano che fornisca
tutte le cose necessarie a uno solo. Non sarà lo stesso artigiano, dico, che
fonderà e foggerà l'elmo, lo scudo, la spada, le lance, i vessilli, il
timpano, la tromba e tutti gli altri armamenti militari. Così l'officina del
solo Aristotele e del solo Platone non basterà a coloro che tentano opere
maggiori in altre invenzioni: anche se talvolta (e per giunta raramente)
sembreremo usare termini non consueti, ciò accade perché desideriamo spiegare
con essi intenzioni non consuete. D'altra parte, ci serviamo in generale degli
studi diversi di vari filosofi per presentare meglio il proposito della nostra
invenzione. Perciò non c'è nulla che impedisca agli esperti in vari indirizzi
filosofici di potere capire da se stessi facilmente (purché vi prestino
attenzione) questa e altre nostre arti. Trattiamo quest'arte sotto una duplice
forma e via, delle quali una è sia più alta e generale per ordinare tutte le
operazioni dell'animo, sia anche è principio di molti metodi, con i quali, come
con strumenti diversi, può essere tentata e inventata la memoria artificiale.
Essa consiste in primo luogo in trenta intenzioni delle ombre, in secondo luogo
in trenta concetti d'idee, in terzo luogo in parecchi collegamenti che possono
derivare da intenzioni e concetti attraverso un industrioso adattamento degli
elementi della prima ruota agli elementi della seconda. La seconda parte che
segue è più limitata a un determinato modo di acquistare la memoria attraverso
l'artificio". TRENTA INTENZIONI DELLE OMBRE. A. PRIMA INTENZIONE. Con l'assenso, quindi, dell'unico Dio e con il favore dei grandi Numi sotto
la protezione dello stesso altissimo Principe, cosi incominciamo. Il più saggio
degli Ebrei, presentando la perfezione dell'uomo e la conquista della cosa
migliore che si possa ottenere in questo mondo, fa dire così alla sua amica:
"MI SONO SEDUTA ALL'OMBRA DI COLUI CHE AVEVO DESIDERATO (Cantico dei
cantici, 2,3). Infatti questa nostra natura non è così grande da potere
abitare, secondo la sua capacità, il campo stesso della verità. Infatti è
stato detto: "L'uomo vivente è vanità, soltanto vanità". (Qoelet,1,
2). E ciò che è vero e buono è la prima e unica cosa. D'altronde come
potrebbe accadere che ciò il cui essere non è propriamente vero e la cui
essenza non è propriamente verità abbia in sé efficacia e atto di verità?
Perciò a esso basta, ed è anche molto, che sieda all'ombra del bene e del
vero. Non dico all'ombra del vero e del bene naturale e razionale (così infatti
si direbbe male e falsamente), ma metafisico, ideale e sovrasostanziale; donde
è reso partecipe di ciò che è bene e vero, secondo la sua facoltà, l'animo
che, anche se non possiede tanto da essere l'immagine di quello, tuttavia è a
immagine di quello; allora la trasparenza, che è l'anima stessa, delimitata
dall'opacità, che è il corpo stesso, esperimenta nella mente dell'uomo
qualcosa dell'immagine, finché approda a essa; ma nei sensi interni e nella
ragione, nei quali ci volgiamo nella nostra vita animale, esperimenta l'ombra
stessa. B. SECONDA INTENZIONE. Io vorrei che tu, proprio in considerazione di ciò, ti ricordassi anche di
tenere distinta l'ombra dalla proprietà delle tenebre. Infatti l'ombra non è
tenebre, ma o traccia delle tenebre nella luce o traccia della luce nelle
tenebre o partecipe della luce e delle tenebre o un composto di luce e di
tenebre o un miscuglio di luce e di tenebre o nessuna delle due cose, separata
dalla luce, dalle tenebre e da entrambe. E questo deriva o dal fatto che la
verità non sia piena di luce o perché sia una luce falsa, oppure perché non
sia né vera né falsa, ma traccia di ciò che è veramente o falsamente,
eccetera. Perciò si tenga presente che l'ombra è traccia di luce, partecipe di
luce, ma non piena luce. C. TERZA INTENZIONE.
Inoltre, quando accade di cogliere una luce doppia, sia nell'ambito della
sostanza, sia nell'ambito di quelle cose la cui consistenza è in relazione alla
sostanza o nella sostanza (donde si assume come principio l'ombra secondo una
duplice opposizione), bisogna che tu ricordi questo: la luce che è intorno alla
sostanza, come ultima traccia di essa, parte dalla luce che è detta atto primo,
e anche l'ombra che è intorno alla sostanza emana dall'ombra che, si dice,
proviene dalla sostanza. Proprio essa è il primo soggetto che i nostri fisici
chiamano anche materia prima: tutte le cose che partecipano a essa, non
ricevendo una luce pura, si dice che sono e operano all'ombra della luce. D. QUARTA INTENZIONE. Conseguentemente non ti sfugga che, poiché l'ombra ha qualcosa dalla luce e
qualcosa dalle tenebre, accade che qualcuno è sotto un'ombra duplice:
evidentemente è l'ombra delle tenebre e (come dicono) della morte; e ciò si
verifica quando le potenze superiori o s'infiacchiscono e si rilassano, o
diventano sottoposte a quelle inferiori, finché l'animo rimane legato a una
vita soltanto corporale e al senso. E poi è l'ombra della luce, cosa che si
verifica quando le potenze inferiori sono sottoposte a quelle superiori rivolte
a mete eterne e più eccellenti, come accade all'animo aggirantesi nei cieli, il
quale con lo spirito soffoca gli eccitamenti della carne. Nel primo caso l'ombra
si getta nelle tenebre, nel secondo l'ombra si getta nella luce. Invero
nell'orizzonte della luce e delle tenebre nient'altro possiamo comprendere che
l'ombra. Quest'ombra si trova nell'orizzonte del bene e del male, del vero e del
falso; quest'ombra è proprio ciò che può essere reso buono e cattivo, falsato
e conformato a verità, e che, tendendo in qua, si dice che sia sotto l'ombra di
questo (cioè del male e del falso), ma che, tendendo in là, si dice che sia
sotto l'ombra di quello (cioè del bene e del vero). E. QUINTA INTENZIONE.
In proposito noi consideriamo sopratutto quelle ombre che sono obiettivi
degli appetiti e della facoltà cognitiva, concepiti sotto l'aspetto del vero e
del bene, che lentamente allontanandosi da quell'unità sovrasostanziale
avanzano, attraverso una moltitudine crescente fino all'infinita moltitudine
(per dirla alla maniera dei Pitagorici); queste ombre di quanto si separano
dall'unità, di tanto si allontanano anche dalla verità stessa. Infatti,
l'allontanamento avviene proprio dal sovraessenziale alle essenze, dalle essenze
alle cose stesse che sono, da quelle alle tracce, alle immagini, ai simulacri e
alle ombre: sia verso la materia, perché siano prodotte nel suo seno, sia verso
il senso e la ragione, perché siano riconosciute attraverso la facoltà
sensibile e razionale. F. SESTA INTENZIONE. L'ombra si fonda sulla materia o natura, sulle cose naturali stesse, sul
senso interno e esterno, come sul moto e sull'alterazione. Ma nell'intelletto,
dato che la memoria consegue all'intelletto, è come in uno stato. Perciò quel
saggio presenta la vergine soprannaturale e soprasensuale come una conoscenza
raggiunta, che siede all'ombra di quel primo vero e bene desiderabile. La quale
positura o stato, poiché non perdura molto nella vita naturale (infatti presto
e all'istante le sensazioni ci assalgono e ci turbano, e proprio le nostre
guide, i fantasmi, ci seducono circuendoci), quella positura è indicata dal
tempo perfetto o dall'imperfetto, anziché dal tempo presente. Infatti, dice: mi
sono seduta all'ombra o sedevo. G. SETTIMA INTENZIONE.
Ma poiché in tutte le cose c'è una connessione ordinata, in modo che i
corpi inferiori succedono a quelli mediani e questi ai superiori, allora i corpi
composti si uniscono ai semplici e quelli semplici ai più semplici, quelli
materiali si accostano agli spirituali e quelli spirituali a loro volta a quelli
immateriali, sicché uno solo è il corpo dell'Ente universale, uno solo
l'ordine, uno solo il governo, uno solo il principio e una sola la fine, uno
solo il primo e uno solo l'ultimo. E poiché è data (come non ignorarono i più
autorevoli tra i Platonici) una migrazione continua dalla luce alle tenebre
(quando alcune menti, attraverso una conversione alla materia e una digressione
dall'atto, si sottopongono alla natura e al fato), niente impedisce che al suono
della cetra universale di Apollo le cose poste in basso a poco a poco siano
richiamate a quelle alte, e quelle più basse attraverso le mediane si accostino
alla natura delle superiori: come anche dalla sensazione risulta chiaro che la
terra si trasforma per rarefazione in acqua, l'acqua in aria, l'aria in fuoco,
come pure per condensazione il fuoco si trasforma in aria, l'aria in acqua,
l'acqua in terra. Così in generale vediamo in quelle cose che mutano che il
moto confina sempre con lo stato e lo stato con il moto. Che poi ciò esiste
sempre e si verifica anche in cielo, ottimamente lo hanno considerato alcuni dei
Peripatetici; proprio perché dicono che il cielo stesso ha l'atto misto con la
potenza (per quanto anche altri siano i modi di questa commistione), intendono
che il suo moto è, alla fine, rivolto verso il passato e, al principio, verso
il futuro. Quindi, qualunque cosa sia la discesa da un'altra specie, della quale
potrebbero giudicare i Teologi con la loro sapienza, dobbiamo assolutamente
sforzarci - avendo davanti agli occhi, secondo le eccelse operazioni dell'animo,
la scala della natura - di tendere sempre, attraverso operazioni intrinseche,
dal moto e dalla moltitudine allo stato e all'unità; quando eseguiremo ciò
secondo la nostra facoltà, anche secondo la facoltà ci conformeremo alle opere
divine, ammirate da tutti. A ciò stesso ci confortino e esortino il vincolo
prestabilito delle cose e le conseguenti connessioni. Invero gli antichi seppero
e insegnarono come giovi il trascorrere dell'uomo che ascende dai molti
individui alla specie e dalle molte specie a un solo genere; inoltre, come poi
l'infima delle intelligenze attraverso tutte le forme comprenda le specie
distintamente, e le intelligenze inferiori concepiscano distintamente tutte le
specie attraverso più numerose e molte forme stesse, mentre quelle superiori
attraverso un numero minore di forme, la suprema attraverso una sola e quella
cosa che è sopra ogni cosa comprenda senza bisogno di qualche forma. E inoltre,
se gli antichi seppero come giovi la memoria, procedendo da molte specie
ricordabili a una sola specie di molte cose ricordabili, certamente però questo
non lo insegnarono. H. OTTAVA INTENZIONE. In verità la cosa vicina inferiore è spinta dalla stretta somiglianza alla
cosa più vicina superiore attraverso alcuni gradi; certamente, una volta
conseguiti tutti questi gradi, ormai dovrà essere considerata non simile, ma
identica a quella. Invero come ciò avvenga, lo apprendiamo proprio per mezzo
del fuoco, che non attrae l'acqua se non assimilata in calore rarefatto. Perciò
attraverso una comune somiglianza si verifica l'accostamento dalle ombre alle
tracce, dalle tracce alle immagini speculari, da queste a altre cose. I. NONA INTENZIONE. Ma, poiché ciò che è simile al simile è anche simile ai simili a esso
medesimo sia per salita sia per discesa sia per ampiezza, da qui accade che
(entro i suoi limiti) la natura può fare tutte le cose da tutte e l'intelletto
o ragione può conoscere tutte le cose da tutte. Come la materia-dico-è
modellata in tutte le forme da tutte le cose, anche l'intelletto passivo (come
lo chiamano) può essere modellato in tutte le forme da tutte le cose, così,
anche la memoria in tutte le cose ricordabili da tutte le cose, poiché ogni
simile è fatto dal simile, ogni simile è conosciuto dal simile, ogni simile è
contenuto dal simile. A sua volta il simile lontano tende al suo simile distante
attraverso il simile mediano e vicino a esso. Da qui la materia, spogliata della
forma dell'erba, non immediatamente assume la forma di questo animale, ma
attraverso le forme mediane di chilo, sangue e seme. Di conseguenza, chi
conoscerà i medi connessi agli estremi, potrà ricavare e naturalmente e
razionalmente tutte le cose da tutte. K. DECIMA INTENZIONE. Del resto, quella somiglianza che scorre in modo eguale e che finisce per
identificarsi con l'uniformità (ciò che diciamo equiparazione) ritienila
inutile e non giovevole, nel senso proposto delle altre operazioni, sia in
riferimento alle sensazioni interne sia alle esterne. Infatti in un'uniformità
di calore accade che tu non avverta l'affezione, né se l'affezione è simile,
né se l'affezione consiste in un grado inferiore a quella somiglianza (di
scorrimento). Avvertirai invece solo quella somiglianza che supera la
somiglianza già presente nel soggetto sensitivo. Da qui potrai prevedere di
quale somiglianza tu debba in pratica tenere conto, affinché le cose cercate
dagli adepti non trovino impedimento al loro realizzarsi. L. UNDICESIMA INTENZIONE. Considera che questo mondo corporeo non avrebbe potuto essere bello, se le
sue parti risultassero del tutto simili. Perciò la bellezza delle parti si
manifesta nella connessione di vari elementi e la bellezza del tutto consiste
nella varietà stessa. Segue da ciò che la visione umbratile di una cosa è la
più imperfetta delle visioni, poiché, mentre l'immagine mostra le cose con
varietà, l'ombra presenta quasi senza varietà ciò che è all'interno dei
contorni di una figura esterna, contorni per altro massimamente falsati. Questo
direi per ciò che riguarda l'ombra come ombra: non certo quale l'assumiamo nel
proposito. M. DODICESIMA INTENZIONE. Il vero Caos di Anassagora è una varietà senza ordine. Proprio così come
nella varietà stessa delle cose distinguiamo un ordine meraviglioso, che,
instaurando una connessione degli elementi sommi con gli infimi e degli infimi
con i sommi, fa concorrere tutte le parti insieme a costituire il bellissimo
aspetto di un solo grande essere animato (qual è il mondo), poiché tanta
diversità richiede tanto ordine e un così grande ordine tanta diversità. Non
ci può essere, infatti, nessun ordine dove non risulti alcuna diversità.
Perciò non è lecito intendere il primo principio né ordinato né in un
ordine. N. TREDICESIMA INTENZIONE. Certamente, se una concordia pressoché indissolubile connette le estremità
finali dei primi elementi agli inizi dei secondi e unisce il calcagno di quelli
che precedono alle teste di quelli che seguono immediatamente, tu sarai capace
di abbracciare con la mente quell'aurea catena che si forma sempre tesa dal
cielo alla terra; così pure, come puoi avere fatto una discesa dal cielo,
facilmente potrai ritornare al cielo per una salita ordinata. Possiamo
sperimentare un grande sollievo della memoria con questa connessione
artificiale, la quale vale anche a presentare ordinate le cose che a loro volta
di per sé non mantengono affatto la successione della memoria. Proprio questo
si manifesta nel carme seguente: in esso, comprendendosi che l'Ariete avanza
contro il Toro e questo, mosso da un diverso genere di azione, avanza contro i
Gemelli e, poi, questi, mossi da una diversa e conseguente azione, si portano
nel Cancro e, similmente, si verifica a turno negli altri segni zodiacali,
accadrà che dalla vista di uno ci guadagneremo l'incontro dell'altro che segue
immediatamente. Il capo del gregge, levatosi in ira su due piedi, con impetuosa fronte ferisce il re dell'armento. Donde vìndice, fuori di senno, spintosi il TORO assale con sfrenato colpo i fratelli GEMELLI. Subito le onde accolgono i fratelli giovani parenti. Il CANCRO si dirige ai rugiadosi prati. Repente in moto obliquo il Cancro, alunno delle onde, s'accosta al fiero volto del villoso LEONE. Perciò irritato s'alza il Leone sulle spalle crinite, onde vagante è apparsa alla rapace fiera la VERGINE. L'assale: ella fugge e folle con fugace passo s'imbatte nell'uomo che BILANCIA con un piatto persiano. Questi arde d'amore, e mentre incalza in cupidi abbracci, lo ferisce l'adunco pungiglione del duro VERME. Mentre, temendo la morte, ricorre alle mediche arti, avverte che dietro s'accosta un SAGITTARIO. Questi, offeso per la vergine che crede violentata, con il dardo, con cui assale costui, ecco ferisce il CAPRO. Appena di malanimo avverte confitto il ferro, fugge precipitoso alle rapide ACQUE. Così il capro infelice, trascinato dal gorgo delle acque, è dato come insolita esca agli immersi PESCI. O. QUATTORDICESIMA INTENZIONE.
Invero l'ascesa che avviene per elementi connessi e concatenati, a proposito
delle ombre ideali, non è tramite una catena continua di anelli simili, come
s'intende dalle cose dette ultimamente e da quelle che saranno enunciate in
seguito. Né l'anello di questa catena deve essere l'ombra sotto cui s'intende
che dorme il Leviatan: non dico dunque l'ombra che allontana dalla luce, ma che
conduce alla luce, la quale, per quanto non sia verità, tuttavia deriva dalla
verità e porta alla verità; e perciò non devi credere che in essa ci sia
l'errore, ma il nascondiglio del vero. P. QUINDICESIMA INTENZIONE. Perciò cerca assolutamente di non incappare, confondendo il significato
delle ombre per un'occulta omonimia, in questo genere di stoltezza, cioè di
pensare, ragionare e giudicare senza discernimento intorno alle ombre; infatti
quell'ombra, che le altre ombre proteggono (per la quale si dice: "Le ombre
proteggono la sua ombra"), si oppone a quella che si eleva al di sopra
dell'altezza dei corpi al confine delle intelligenze, per la quale si dice:
"La sua ombra coprì i monti". Da essa sono tratte e emanano quelle
cose che producono in noi intelligenza e memoria, e in essa infine terminano
quelle che salgono verso la luce. Questa ombra, o una simile a questa, l'hanno
figurata coloro che sono detti Cabalisti, poiché il velo, che era
allegoricamente o figurativamente sul volto di Mosè (Esodo, 34, 33-35), ma
figuratamente sul volto della legge, non mirava a ingannare, ma a spingere
avanti ordinatamente gli occhi degli uomini, nei quali si provoca una lesione
nel caso che all'improvviso passino dalle tenebre alla luce. E infatti la natura
non sopporta un progresso immediato da uno degli estremi all'altro, ma con la
mediazione delle ombre e con la luce adombrata gradualmente. Parecchi hanno
perso la naturale capacità della vista, avanzando repentinamente dalle tenebre
alla luce: fino a tal punto essi sono lontano dal raggiungere l'obiettivo
ricercato. Perciò l'ombra prepara la vista alla luce, l'ombra tempera la luce,
per mezzo dell'ombra la divinità tempera e propina le apparenze che anticipano
le cose all'occhio, avvolto da caligine, dell'anima che è affamata e assetata.
Perciò riconosci quelle ombre che non estinguono, ma conservano e custodiscono
la luce in noi, e per le quali siamo avviati e condotti all'intelligenza e alla
memoria. Q. SEDICESIMA INTENZIONE. A suo modo, il Teologo ha detto: "Se non crederete, non
comprenderete", e a loro modo i filosofi confermano che bisogna conquistare
le scienze sulla base di quelle ipotesi e di quei presupposti nei quali si dice
di confidare (questa fede presso i Pitagorici era intorno alle cose non
dimostrate, presso i Peripatetici intorno a quelle non dimostrabili, presso i
Platonici intorno a entrambe); e da quelle cose che si fondano sulla virtù,
sull'origine e su una certa implicazione dobbiamo procedere con un corso sia
naturale sia razionale alla spiegazione delle forme. La natura dà immagini
involute prima di presentarcele chiare; similmente fa Dio, similmente anche le
arti che perseguono un ordine divino e naturale per dignità. Ma se ad alcuni
sembra arduo esercitarsi sulle ombre per il sospetto che sia vano attendersi da
esse un accesso alla luce, sappiano che tale difetto non deriva dalle ombre;
sappiano anche preparare adeguatamente o tenere celato ciò che non si potrebbe
cogliere nudo. R. DICIASSETTESIMA INTENZIONE Riguardo alle ombre fisiche, ve ne sono che derivano dagli alberi e dalle
erbe, che fugano i serpenti e accolgono animali più docili, e ve ne sono anche
contrarie a esse. Ma riguardo alle ombre ideali (nel caso siano veramente
ideali), poiché tutte si rapportano all'intelletto e al senso interiore
purificato, non ve ne sono che non facciano ottimamente da guida, se avviene
tramite esse un'ascesa e non si dorme sotto esse medesime. S. DICIOTTESIMA INTENZIONE. T. DICIANNOVESIMA INTENZIONE. L'ombra diventa più penetrabile alla vista per una maggiore intensità della
luce e densità del corpo: è resa più delineata - ripeto - e più definita,
cosa che dipende dal fatto che imita il corpo in densità e rarità, continuità
e discontinuità. Ma in vero tale imitazione è svelata per mezzo del corpo. V. VENTESIMA INTENZIONE. L'ombra segue contemporaneamente il moto del corpo e della luce. Il corpo si
muove? L'ombra si muove. La luce si muove? L'ombra si muove. Si muovono l'uno e
l'altra? L'ombra si muove. Contro le norme fisiche il medesimo soggetto (intendo
il soggetto del moto) è sottoposto a spostamenti diversi e contrari. E perché?
Forse che l'ombra non segue necessariamente il moto del corpo verso la luce e il
moto della luce verso il corpo? Forse che questa necessità è eliminata dal
movimento concorde di entrambi [corpo e luce], quando si sposteranno in
direzioni opposte? Inoltre fa' attenzione al modo in cui l'ombra al moto della
luce si muove quasi fuggendo, invece quasi seguendo al moto del corpo; pertanto
non sembra essere implicata la contrarietà, ma la concordanza nella fuga
dell'una e nella scorta dell'altro opposto e contrario. Del resto tu stesso
indaga e rifletti come avvenga in queste e nelle altre cose proporzionalmente:
infatti per opera nostra la cosa è rivelata, più di quanto basta, a coloro che
volgeranno l'attenzione a queste e altre cose. X. VENTUNESIMA INTENZIONE Non ti sfugga infine la simiglianza delle ombre con le idee; infatti sia le
ombre sia anche le idee non sono contrarie dei contrari. In questo genere
attraverso una sola specie si conosce il bello e il turpe, il conveniente e lo
sconveniente, il perfetto e l'imperfetto, il bene e il male. Infatti il male,
l'imperfetto e il turpe non hanno idee proprie con cui siano conosciuti; poiché
tuttavia si dice che sono conosciuti e non sono ignorati e quanto è conosciuto
intelligibilmente lo è attraverso le idee, allora il male, l'imperfetto e il
turpe vengono conosciuti in una specie altrui, non nella propria, che non esiste
affatto. Infatti quel che è a essi proprio, è un non-ente nell'ente o (per
dirla più chiaramente) un difetto nell'effetto. Y. VENTIDUESIMA INTENZIONE. Se chiami l'ombra accidente del corpo da cui è proiettata hai l'accidente
del solo soggetto da cui eventualmente si separa o cui ritorna, o secondo la
medesima specie o secondo il medesimo numero. Se stabilirai che essa sia
accidente di quel soggetto su cui è proiettata, ormai la considererai accidente
separabile da un solo soggetto, tanto che, identico per numero, percorra diversi
soggetti; come quando per il moto della luce o del cavallo l'ombra equina, che
veniva proiettata sulla pietra, ora è proiettata sul legno. Ciò è contro la
proprietà fisica dell'accidente, a meno che tu non ti getti in braccio a Scilla
dicendo che l'ombra non è accidente. Inoltre, che diciamo delle ombre ideali?
Potresti ben intendere che esse non sono né sostanze né accidenti, ma una
certa nozione di sostanza e di accidente. Se a qualcuno piacerà dire che esse
sono accidenti dell'animo e della ragione, mostrerà, dicendolo, inesperienza;
infatti non sono atteggiamenti né disposizioni né facoltà innate o aggiunte,
ma da esse e per esse sono prodotte e esistono alcune disposizioni,
atteggiamenti e facoltà. Infatti, se si esaminano rettamente, la sostanza e
l'accidente non dividono tutto quanto si dice che sia per l'universo, come
solitamente supponiamo. Questa considerazione vale non poco per farsi una
conoscenza razionale delle ombre. Z. VENTITREESIMA INTENZIONE. L'ombra non è soggetta al tempo, ma al tempo di questa, non al luogo, ma al
luogo di questa, non al moto, ma al moto di questa. Similmente bisogna intendere
riguardo agli opposti. Perciò è astratta da ogni verità, ma non è senza essa
e non rende incapaci di raggiungerla (nel caso sia un'ombra ideale): infatti fa
concepire i contrari e i diversi, pur essendo una sola cosa. Infatti niente è
il contrario dell'ombra, e precisamente né la tenebra né la luce. Perciò
l'uomo si rifugiò all'ombra dell'albero della scienza per la conoscenza della
tenebra e della luce, del vero e del falso, del bene e del male, quando Dio gli
chiese: "Adamo, dove sei?" (Genesi, 3, 9). (psi greca). VENTIQUATTRESIMA INTENZIONE. Non bisogna neanche tralasciare di considerare che un solo corpo opaco,
opposto a due o più sorgenti di luce, proietta due o più ombre. Perciò
capisci in che modo e in virtù di che l'ombra segue il corpo e in che modo e in
virtù di che segua insieme la luce; e considera come una luce molteplice
produca un'ombra molteplice da un solo corpo e come innumerevoli luci producano
innumerevoli ombre, anche se non appaiono in modo sensibile. Perciò l'ombra
segue la luce in un modo, sebbene sembra che la fugga in un altro modo. A. VENTICINQUESIMA INTENZIONE Né ti sfugga che l'ombra, affinché fugga la luce, simula una quantità di
corpo; e soltanto in una precisa e unica distanza, luogo e disposizione, secondo
la lunghezza e larghezza uguale al corpo, l'ombra è prodotta dalla luce opposta
in modo che nulla sembra fuggire la stessa luce più che insinuare una quantità
di corpo attraverso l'ombra. Infatti il sole in alcuni luoghi non rende mai
l'ombra uguale al corpo, invece in altri più raramente e per un po' di tempo. E. VENTISEIESIMA INTENZIONE. Nel caso che la grandezza di un corpo opaco superi la grandezza di un corpo
lucido, produce un cono d'ombra sul corpo, ma proietta la base a un'infinita o
indeterminata distanza. Ma nel caso che la grandezza della luce superi la
grandezza di un corpo opaco, allora produce una base di ombra sul corpo, ma
determinerà un cono nella sua proiezione al di fuori del corpo stesso a tale e
tanta distanza per quanta misura proporzionale la grandezza del corpo lucido
risulta ottenere al di sopra della grandezza del corpo opaco. Di qui, l'ombra
che il corpo lucido della luna producesse dalla terra nella parte opposta (posto
che il sole sia lontano dall'emisfero inferiore) avrebbe per cono un preciso
margine della terra, ma la base di essa al di fuori della terra, quasi crescendo
all'infinito, non sarebbe determinabile. Invece l'ombra che il corpo del sole
produce dalla terra ha determinati limiti della terra per base, ma il cono non
tocca la sfera di Mercurio stesso. Similmente ormai giudicherai delle idee e
delle loro ombre. VENTISETTESIMA INTENZIONE. Di conseguenza, nota come dalla luce e dalla tenebra (infatti chiamo tenebra
la densità del corpo) nasce l'ombra, di cui la luce è padre e la tenebra è
madre: e essa non ha luogo se non in presenza di questa e di quello, e segue la
luce in modo da fuggirla, come se si vergognasse di presentare al padre
l'aspetto stesso della madre, per dimostrare almeno con il pudore la sua regale
progenie, come i nobili per nascita che, non potendo mostrare la nobiltà con il
proprio comportamento, la dimostrano abbastanza con il pudore stesso del proprio
comportamento. Da qui, crescendo la luce, si attenua l'ombra, che si dilata se
la luce si contrae; se questa medesima circonda tutto il corpo, l'ombra fugge. VENTOTTESIMA INTENZIONE. Come dallo gnomone posto perpendicolarmente sopra un piano tra Arcton [l'Orsa
Maggiore] e l'occhio, dall'ombra immaginabile traiamo una linea meridiana e
infallibilmente molte altre differenze di tempi, che nel notturno cerchio delle
stelle polari portano alle differenze delle parti del circolo, che sono
manifestate attraverso i numeri dalla linea tesa verso la circonferenza di
quello; così anche le ombre ideali attraverso i corpi fisici potranno
manifestarti le proprietà e le differenze delle cose per innumerevoli idee. VENTINOVESIMA INTENZIONE. E come il sole emana sei differenze fondamentali di ombre; una, quando,
sorgendo, proietta l'ombra del corpo verso occidente; una seconda, quando,
tramontando, la estende verso oriente; una terza a mezzogiorno e nella
latitudine australe la estende verso Borea; una quarta, nella latitudine
settentrionale verso Austro; una quinta, se non ammette alcuna latitudine: dalla
"zona" del cielo (così la chiamano) stendendo i raggi perpendicolari,
produce l'ombra della terra verso il suo nadìr; di poi, dall'antipodo stesso
dell'altro emisfero espanderà verso l'auge un'ombra che dovrà attenuarsi
proprio avanzando; così per noi che ci troviamo nell'orizzonte della natura e
nella sua equilibrata e retta sfera, sotto l'equinoziale del senso o sotto l'equidiale
dell'intelletto, si formano sotto le idee eterne sei differenze di ombre, dalle
quali possiamo ricevere ogni tipo di conversione verso la luce. A. TRENTESIMA INTENZIONE Ma come comprendi che tutte le differenze delle ombre si possono infine
ricondurre a sei fondamentali, nondimeno devi sapere che tutte infine dovrebbero
essere ridotte a una sola fecondissima e a una generalissima fonte delle altre.
Nel nostro proposito - ripeto - una sola può essere l'ombra di tutte le idee,
che accresce, giudica e presenta tutte le altre con l'addizione, la sottrazione
e l'alterazione generalmente dette, come nell'arte materialmente per mezzo del
sostantivo soggetto, formalmente poi per mezzo dell'aggettivo, che accolgono in
se stessi gli elementi che alterano, traspongono e universalmente diversificano.
Una certa analogia, infatti, ammettono la metafisica, la logica e la fisica,
cioè le cose prenaturali, naturali e razionali, come verità, immagine e ombra.
D'altra parte l'idea nella mente divina è in atto totale simultaneamente
compiuto e unico; nelle intelligenze le idee sussistono con atti discreti; nel
cielo sussistono in una potenza attiva molteplice e successiva; nella natura a
modo di traccia come per un'impressione; nell'intenzione razionale a modo di
ombra. Ecco l'esempio di una sola idea, la quale ha in atto infinite differenze
delle cose, e di una sola ombra nella possibilità d'infinite differenze. La
linea orizzontale A B riceve la linea C D, che cade perpendicolarmente e forma
due angoli retti. Ora, nel caso che la linea perpendicolare s'inclini verso B,
renderà l'angolo da una parte acuto, ma dall'altra ottuso. Inclinata sempre
più in E, F, G, H, I, K e così via, darà gli angoli più acuti di qua e più
ottusi di là. [...] Così risulta chiaro come nella possibilità di quelle due
linee rette ci siano infinite differenze di angoli acuti e ottusi. Questa
possibilità non differisce dall'atto nella prima causa, la quale e nella quale
è tutto ciò che può essere, dal momento che essere e potere s'identificano in
essa. Pertanto nel punto D stesso le differenze degli angoli sono nello stesso
tempo infinite e una sola cosa. Nel motore celeste è in potenza attiva, come
nella mano che può muoversi al punto E, F, G e altri innumerevoli, tuttavia non
si muove; nel cielo, come in un misto di attivo e passivo, come nella linea C D
che può muoversi per formare questo e quell'angolo; appunto in base a molte
ragioni i Peripatetici comprendono che il cielo ha l'atto misto alla potenza.
Nei movimenti conseguenti e nella materia è in potenza passiva, significata per
il punto D, che accoglie le innumerevoli differenze di angolo acuto e di angolo
ottuso attraverso il modo di essere nella materia e nell'efficiente, e il modo
che partecipa dell'atto e della potenza, come appare chiaramente. Ciò che
abbiamo detto delle differenze degli angoli riferiscilo alle differenze delle
specie, che si dice sono come numeri. Per cui è chiaro che qualsivoglia cosa si
può raffigurare in tutte le cose e per mezzo di tutte le cose. TRENTA CONCETTI DI IDEE. Accostiamoci ora successivamente a trenta concetti d'Idee, dapprima in modo
semplice; in un secondo momento con le intenzioni delle ombre da concepire in
modo complesso. A. PRIMO CONCETTO. Dio (dice Plotino) ha creato sul viso occhi luciferi e ha aggiunto strumenti
agli altri sensi affinché con ciò e fossero conservati naturalmente e anche
contraessero qualcosa con la luce a essi congiunta. Invero con queste parole
manifesta che c'è qualcosa di precipuo che si estende a essi dal mondo
intelligibile. B. SECONDO CONCETTO. Non è lecito pensare che questo mondo abbia più signori e di conseguenza
abbia più ordini tranne uno solo. E, conseguentemente, se uno solo è l'essere
ordinato, le sue parti sono unite e subordinate alcune ad alcune parti, altre ad
altre, sicché le parti superiori si collocano subito dopo l'essere più vero,
espandendosi in una mole estesa e in molteplice numero verso la materia; di qui
l'accesso dall'ente che è massimamente per sé a quello che ha il minimo di
entità e che non a caso è detto quasi nulla. Chi concepirà con la mente
quest'ordine con i suoi gradi, contrarrà una somiglianza del grande mondo
diversa da quella che ha in se stesso secondo natura. Donde, quasi agendo per
natura, trascorrerà senza difficoltà le universe cose. C. TERZO CONCETTO. Poiché non c'è ricerca e argomentazione a proposito di quelle cose che
accadono sempre, se sarà noto che qualche cosa fa sempre la stessa cosa, si
distoglierà da essa ogni attività argomentativa e ogni ragionamento, come nel
caso di una forma che manifesti se stessa quasi naturalmente o che porti a
effetto le sue opere liberando e diffondendo ciò che è proprio della sua
natura. A questo modo di operare si avvicina di più in somiglianza quella cosa
che fa la stessa cosa quanto più e più frequentemente possibile. Infatti
accadrà che essa proceda all'atto perfetto e eccellente con un minimo di
pensiero e di decisione. Chi, perciò, consistendo nel luogo e nel tempo,
libererà le ragioni delle idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti
divini nelle sue opere sia che esse riguardino l'intelletto sia le volontà.
Ciò faceva forse colui che disse: "Consistendo in carne, viviamo non
secondo la carne" (Paolo, Lettera ai Romani, Ottavo, 12). D. QUARTO CONCETTO. Se ciò è possibile e vero, è lecito apprendere che l'anima intellettiva
non è veramente insita, fissa e insistente nel corpo, ma in verità come
assistente e governante del corpo, tanto che può vantare una specie perfetta,
separatamente dal corpo. Alla quale opinione (senza controversia) aderisce
massimamente quel Teologo che, intitolandola con un nome più preciso, la
chiamò "uomo interiore". Che, se in base all'affermazione di questo
tu ricercassi operazioni possibili alla stessa anima senza corpo, ecco che essa
si unisce alle idee, non determinate da luogo certo e da tempo, ogniqualvolta
l'uomo libero nella mente o nell'animo abbandona la materia e il tempo. E. QUINTO CONCETTO. L'anima ha una sostanza che si comporta verso gli intelletti superiori, come
il corpo diafano verso le luci (come anche i più importanti Platonici hanno
compreso), poiché, secondo la sua diafanezza e trasparenza, accoglie una certa
luminosità come innata. Questa è sempre in atto, quando è spogliata del
corpo, come se abitasse la regione della luce. Ma quando permane nel corpo, come
un cristallo la cui diafanezza è limitata dall'opacità, ha visioni sensibili
vaghe che si avvicinano e si allontanano attraverso una convergenza e divergenza
secondo le differenze dei tempi e dei luoghi. F. SESTO CONCETTO. Le forme delle cose sono nelle idee, sono in un certo modo in se stesse, sono
in cielo, sono nel cerchio del cielo, sono nelle cause prossime seminali, sono
nelle cause prossime efficienti, sono individualmente nell'effetto, sono nella
luce, sono nel senso esterno e sono in quello interno, secondo il loro modo. G. SETTIMO CONCETTO. Perciò la materia non è riempita dalla ricezione delle forme (come essa
indica attraverso un'eterna ricerca di nuove forme), poiché né accoglie quelle
vere né veramente riceve quel che sembra ricevere. Infatti le cose che sono
veramente non sono di per sé sensibili e individuali, come pensa chi le chiama
anzitutto, principalmente e massimamente sostanze. Infatti le cose che sono
veramente permangono sempre; quelle che, invece, sono soggette alla generazione
e alla corruzione, si dice che non sono veramente. Il che non solo si accorda
con un corretto filosofare, ma anche con il fatto che alcuni dei Teologi, come
sentiamo, chiamano vanità l'uomo esteriore, soggetto com'è alla condizione
naturale. E altri invero sostengono che sono affette da un universale carattere
di vanità tutte le cose che accadono sotto il sole, cioè che abitano la
regione della materia. Perciò alle idee, alle idee l'anima chieda la fissione
delle concezioni, se ben ragiona. H. OTTAVO CONCETTO. Plotino, quando tratta della proprietà della moltitudine delle idee, chiama
idea il primo uomo, anima il secondo, ma il terzo quasi ormai non più uomo. Il
secondo dipende dal primo, il terzo dal secondo, mentre per mezzo di un
ordinamento, una contrazione e una composizione si dispone all'esistenza fisica.
Perciò, secondo il concetto metafisico, il terzo salga al secondo, il secondo
al primo. I. NONO CONCETTO. L'identico, il permanente e l'eterno coincidono. Infatti, l'identico, poiché
identico, permane ed è eterno. L'eterno, in quanto eterno, permane ed è
identico. Il permanente, in quanto permanente, è identico e eterno. Perciò
bisogna che tu ti appoggi proprio all'identico o a ciò che ha una condizione
d'identità, perché tu l'abbia in modo permanente e perseverante. Se capirai
ciò, avrai un principio con cui tu possa operare una fissione delle specie
nell'anima. K. DECIMO CONCETTO. L. UNDICESIMO CONCETTO. L'Intelletto primo con la sua fecondità a suo modo propaga idee non nuove,
né in modo nuovo. La natura produce nuove cose nel numero, ma tuttavia senza
novità (nel suo modo), se opera sempre allo stesso modo. La ragione forma
specie nuove e in modo nuovo all'infinito: componendo, dividendo, astraendo,
contraendo, aggiungendo, sottraendo, mettendo e togliendo ordine. M. DODICESIMO CONCETTO. Le forme degli animali deformi divengono belle in cielo, le forme dei metalli
che non risplendono in se stesse risplendono nei loro pianeti. Infatti né
l'uomo né gli animali né i metalli là esistono come sono qui. Ciò che qui
corre di qua e di là, lì si trova in atto, in un livello superiore. Infatti le
virtù, che si moltiplicano andando verso la materia, si uniscono e si
coimplicano andando verso l'atto primo. Donde è chiaro ciò che dicono i
Platonici, cioè che una qualsivoglia idea anche delle cose che non vivono è
vita e, per così dire, intelligenza; egualmente anche nella mente prima una
sola è l'idea di tutte le cose. Pertanto illuminando, vivificando e unendo,
c'è motivo per cui, conformandoti agli agenti superiori, tu giunga alla
conoscenza e al ricordo delle specie. N. TREDICESIMO CONCETTO. La luce, la vita, l'intelligenza e l'unità prima contengono tutte le specie,
le perfezioni, le verità, i numeri e gradini delle cose, mentre quelle cose che
nella natura sono differenti, contrarie e diverse, risultano in essa identiche,
concordanti e una sola cosa. Perciò tenta se puoi con le tue forze
d'identificare, conciliare e unire le specie recepite; così non affaticherai
l'ingegno, non turberai la mente e non confonderai la memoria. O. QUATTORDICESIMO CONCETTO. Quando perverrai alla ragione conforme al cielo corporeo che contiene le
forme degli esseri animali inferiori anche spregevoli, in un modo non
spregevole, non poggiarvi il piede, ma cerca di giungere alla conformità del
cielo intellettivo, che possiede le forme di tutto il mondo in un modo superiore
a quello celeste. P. QUINDICESIMO CONCETTO. Q. SEDICESIMO CONCETTO. R. DICIASSETTESIMO CONCETTO. S. DICIOTTESIMO CONCETTO. T. DICIANNOVESIMO CONCETTO. Plotino comprese che è fatta di sette gradini (cui ne aggiungiamo due) la
scala per la quale si ascende al principio. Il primo gradino è la purificazione
dell'animo, il secondo l'attenzione, il terzo l'intenzione, il quarto la
contemplazione dell'ordine, il quinto il confronto proporzionale secondo
l'ordine, il sesto la negazione o separazione, il settimo il desiderio, l'ottavo
la trasformazione di sé nella cosa, il nono la trasformazione della cosa in se
stesso. Così si aprirà la via, l'accesso e l'ingresso dalle ombre alle idee. V. VENTESIMO CONCETTO. Tutto ciò che è dopo l'uno è inevitabilmente molteplice e numeroso.
Perciò, tranne l'uno e primo, tutte le cose sono numero. Donde sotto l'infimo
gradino della scala della natura c'è il numero infinito o materia; invece nel
sommo gradino c'è l'infinita unità e atto puro. Pertanto, la discesa, la
dispersione e l'espansione avvengono verso la materia; l'ascesa, l'aggregazione
e la delimitazione avvengono verso l'atto. X. VENTUNESIMO CONCETTO. Attraverso i numeri (dicono alcuni) gli enti si rapportano a ciò che
veramente è, o vero ente, come la materia attraverso l'abbozzo delle forme si
rapporta alle forme. Y. VENTIDUESIMO CONCETTO. Z. VENTITREESIMO CONCETTO. Alcune forme imitano come per natura, come l'immagine nello specchio imita la
forma di una cosa riflessa; alcune per istituzione, come una figura impressa
imita il sigillo; e ancora alcune imitano come di per sé, come una pittura che
rappresenta qualcuno secondo l'intenzione del pittore; alcune in un modo
intermedio fra l'imitazione per accidente e quella di per sé, come se fosse
fatta una pittura per presentare quello che può presentare. Ma alcune imitano
come capita, a caso: come quando accade che un'immagine dipinta imita qualcuno
in modo preterintenzionale. Alcune poi imitano né per sé né per caso, le
quali inoltre non si riferiscono né possono essere riferite a imitare nessuno,
se è possibile che tali siano le forme. Nelle prime c'è una maggiore
proprietà ideale, nelle seconde minore, nelle terze minima, nelle quarte non ce
n'è assolutamente. I. VENTIQUATTRESIMO CONCETTO. Ciò che agisce secondo natura o a caso e non secondo una deliberazione della
volontà, non presuppone le idee. Se tale fosse il primo efficiente, non ci
sarebbero le idee e nessun agente opererebbe secondo una volontà. Del resto,
valgano Democrito, Empedocle e Epicuro. Se ritieni impossibile che la ragione
dell'agente venga separata da chicchessia, allora ricercherai minuziosamente
proprio ciò che è più inaccessibile a tutti così che, se non ti si
renderanno tutte le cose possibili, moltissime almeno lo diventeranno. E. VENTICINQUESIMO CONCETTO. Uno dei nostri compatrioti disse: "La forma esemplare possiede la
ragione del fine e da essa l'agente riceve la forma con cui compie ciò che sia
fuori di lui". Non è invece conveniente credere che Dio agisca per un fine
diverso da sé e riceva da un'altra parte ciò con cui sia sufficiente ad agire:
per questa ragione non ha idee fuori di sé. Invece noi, poiché abbiamo in noi
soltanto le loro ombre, bisogna che le indaghiamo fuori e sopra di noi. I. VENTISEIESIMO CONCETTO. Attraverso l'immagine, che è nell'intelletto, si apprende qualcosa meglio
che non attraverso l'immagine che è nel soggetto fisico, poiché essa è più
immateriale. Similmente si conosce qualcosa attraverso l'immagine della cosa,
che è nella mente divina, meglio di quanto si possa conoscere attraverso la sua
stessa essenza. Due cose si richiedono per l'immagine che è mezzo di
conoscenza: la rappresentazione della cosa conosciuta, la quale si unisce,
secondo la vicinanza, al conoscibile, e l'essere spirituale e immateriale, come
ha da essere nel conoscente. O. VENTISETTESIMO CONCETTO. Come le idee sono forme principali delle cose secondo le quali è formato
tutto ciò che nasce e muore; e non solo hanno riferimento a ciò che si genera
e si corrompe, ma anche a ciò che può essere generato e morire: così allora
è vero che noi ci siamo formate in noi le ombre delle idee, dato che esse
ammettono una tale facoltà e plasmabilità da essere adattabili a tutte le
formazioni possibili. E' con una certa somiglianza che abbiamo formato quelle
che consistono nella rivoluzione delle ruote. Se puoi tentare un'altra via,
tentala. V. VENTOTTESIMO CONCETTO. Platone non stabilì le idee degli accidenti proprio perché comprendeva che
esse sono le cause prossime delle cose; donde, se qualche cosa, eccetto l'idea,
fosse la causa prossima della cosa, non voleva considerarla idea, e perciò
sostenne che non c'è idea comune in quelle cose che sono dette per ciò che è
prima e dopo, ma che il primo fosse idea del secondo. Donde il filosofo Clemente
affermava che le cose superiori negli enti sono idee delle cose inferiori.
Sostengono che ci sono le idee degli accidenti i teologi, i quali intendono che
Dio è causa immediata di ciascuna cosa, per quanto non escludano secondi Dei e
cause. Perciò anche noi in proposito affermiamo che ci sono le idee di tutte le
cose poiché risaliamo a esse medesime da ogni cosa concepibile. Di tutte le
cose, infatti, formiamo ombre ideali. Né per questo distruggiamo la dottrina
platonica, come è chiaro per chi capisce. A. VENTINOVESIMO CONCETTO. Platone non stabilì idee delle singole cose, ma solamente delle specie, sia
perché le idee riguardano soltanto la produzione delle forme, non della
materia, sia anche perché principalmente le forme sono intese per natura, non
invece i generi e gli individui. I teologi pongono le idee delle singole cose,
poiché asseriscono che Dio è causa totale e per quanto attiene alla materia e
per quanto attiene alla forma. Anche noi in proposito ammettiamo le idee delle
singole cose, poiché poniamo come principio la conoscenza razionale di ciò che
è "ideato" secondo la somiglianza universale di ciò che è figurato
e compreso, sia che essa sia 'ante rem' sia in 're', sia 'res' sia 'post rem',
così pure e nella sensazione e nell'intelletto, e questo sia pratico sia
speculativo. TRENTESIMO CONCETTO. Certuni collocano la nascita delle idee meno comuni nelle idee più comuni e
infine uniscono i generi di tutte le idee proprio nell'ente primo che chiamano
sommo intelligibile. Tu ricordati di collocare le ombre delle idee meno comuni
in quelle più comuni e i soggetti esterni di esse meno comuni in quelli più
comuni. INTORNO ALLA COMPLESSIONE CHE SI VERIFICA PER L'INCONTRO DELLA PRIMA RUOTA
CON LA SECONDA. Occorrerà perciò che chi vuole conquistare da sé l'arte generale per
l'attitudine dell'intelletto, della volontà e della memoria (per quanto noi al
presente la limitiamo alle percezioni della memoria), per prima cosa conosca i
princìpi elementari con i loro significati, per seconda i princìpi secondari,
per terza tragga i princìpi secondari per mezzo dei primari. I primi due, che
sono ottimamente accessibili a quelli versati nelle dottrine peripatetiche e
platoniche, li abbiamo forniti noi. La terza cosa l'affidiamo alla diligenza di
quello stesso che vuole apprenderla. E' ora di affrontare l'applicazione pratica
e la concentrazione dell'intenzione universale per raggiungere l'arte della
memoria.